“Sulla via di Damasco”: la conferenza organizzata dal Fronte europeo di solidarietà per la Siria, svoltasi presso la sala L’Universale di Roma, è approdata a destinazione.
Prima di attraversare i paesaggi della guerra in Siria, il dibattito è
partito dal concetto di sovranità. “Quella stessa sovranità di cui
l’Italia sembra esser sprovvista e a cui la Siria non intende
rinunciare” - come ha osservato Jacopo Trionfera, rappresentante del
Fronte, nella sua introduzione. Un confronto, quello di ieri, che ha
avuto il pregio di far convergere protagonisti ‘scomodi’ come
l’Iran e la Russia, dando a tutte “le nazioni coinvolte nell’imperante
guerra in Siria” la possibilità di esprimersi attraverso i rispettivi
rappresentanti, forse per la prima volta in assoluto, in modo corale e
non filtrato.
Il primo, in ordine d’intervento, è stato il dott. Jamal Abo Abbas, Presidente della Comunità siriana in Italia. La
presenza di migranti siriani nella Penisola, come ricorda il dott. Abo
Abbas, è antichissima e si è sempre rivelata pacifica e collaborativa.
Tuttavia la percezione che gli italiani hanno della Siria è radicalmente
mutata da quando sono stati posti in essere i primi tentativi di
destabilizzazione da parte delle cellule fondamentaliste “sovvenzionate
dagli Usa e da tutti gli altri Paesi che vogliono mettere le mani sulla
nostra Terra”. Questi finanziamenti, inizialmente destinati alla parte
più radicale dei “fantomatici ribelli”, oggi sostengono cellule più
moderate “per distrarre un’opinione pubblica che a distanza di tre anni
forse sta capendo dov’è la verità”.
In seguito ha preso parola Marco Hosseyn Morelli, portavoce dell’Ass. Imam Mahdi. La
premessa di Morelli è di carattere terminologico, “troppo spesso i
media fanno un uso improprio di termini come ‘jihad’ ed ‘islam’,
accostandoli a movimenti che con queste due parole sacre non hanno nulla
a che vedere. Sarebbe quindi più corretto parlare di wahabiti e di
takfiriti, movimenti fondamentalisti che combattono in Siria uccidendo e
massacrando senza rispetto dei principi cardine dell’etica del
combattente musulmano la popolazione civile”. “Il problema del fanatismo
religioso non ha mai riguardato la Siria, dove le diverse confessioni
religiose sono sempre coesistite pacificamente - osserva Morelli - se
non da quando gli Usa, con la loro partecipazione criminale al
conflitto, insieme ad Arabia Saudita ed Israele, hanno voluto porre fine
a questa convivenza pacifica di religioni”.
In chiusura è
stata la volta della rappresentante della Confederazione Russa, Irina
Osipova, presidentessa del movimento RIM giovani italo-russi. La
mediazione diplomatica della Russia, e quindi di Putin, ha senz’altro
giocato un ruolo decisivo per la Siria. A conforto di questo aspetto, la
giovane relatrice, ha citato la lettera scritta dallo stesso presidente
russo agli americani e pubblicata dal New York Times nel settembre
dello scorso anno. “..Fin dall'inizio, la Russia ha avuto come
priorità la ricerca di un soluzione pacifica del conflitto che potesse
passare attraverso un compromesso e desse la possibilità ai siriani di
decidere del loro futuro. Noi non stiamo proteggendo il governo siriano,
ma le leggi internazionali. Noi vogliamo, dobbiamo appellarci alle
Nazioni Unite perché crediamo che sia l'unico modo per preservare
l'ordine e le leggi internazionali ed evitare così che un mondo così
turbolento precipiti nel caos. La legge è ancora la legge, e che ci
piaccia o no, dobbiamo ancora seguirla. L'attuale legge dice ha l'uso
della forza è permesso solo come auto difesa o dietro autorizzazione del
Consiglio di Sicurezza. Tutto il resto, per la Carta delle Nazioni
Unite, è inaccettabile e si configura come un atto di aggressione..”
La
Osipova ha inoltre ribadito l’infondatezza dell’accusa dell’utilizzo di
armi chimiche, giunte in questi giorni nel porto di Gioia Tauro per
essere smaltite, da parte di Assad. “Nulla di più insensato, le
armi chimiche sono state abilmente utilizzate dai ‘ribelli’ per
giustificare l’intervento americano nel conflitto” - ha detto la
Osipova, facendo eco alle parole pronunciate all’epoca dei fatti dallo stesso primo ministro siriano Wael al-Halqui. “Noi
non abbiamo usato armi chimiche, ad utilizzarle sono i 38mila
terroristi stranieri che stanno combattendo nel nostro paese, a
dargliele sono Qatar, Turchia e Arabia Saudita. La realtà è che gli
Stati Uniti sono in crisi e hanno trovato nella Siria un nuovo capro
espiatorio” - aveva dichiarato al-Halqui in occasione dell’incontro
ufficiale avuto a Damasco proprio con una delegazione del Fronte.
Nessun commento:
Posta un commento