È trascorsa esattamente come previsto la prima giornata di tregua, se così può essere definita, fra l’esercito di Damasco e le milizie ribelli legate ai movimenti di opposizione es...
teri che compongono il Consiglio nazionale siriano di Istanbul.
Il cessate il fuoco temporaneo voluto dall’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, allo scopo dichiarato di favorire successivamente soluzioni di più lunga durata per la crisi in corso ormai da 20 mesi, è durato solo poche ore, oltre le quali gli attivisti dissidenti sono tornati ad accusare di presunte violazioni della tregua le autorità di Damasco, che a loro volta hanno replicato affermando di aver soltanto risposto al fuoco. Infine, proprio come accaduto purtroppo sempre più spesso nelle ultime settimane, un nuovo attentato ha sconvolto la capitale siriana. Un’autobomba è infatti esplosa nel quartiere meridionale di Daf Shuk, provocando 5 vittime, 32 feriti e ingenti danni materiali. Episodio replicatosi poco tempo dopo nella città sunnita di Deraa e a causa del quale 11 soldati sono rimasti feriti. L’attacco non è stato per ora rivendicato, ed è quindi difficile stabilirne la matrice, potrebbe comunque rappresentare l’ennesimo macabro biglietto da visita di uno dei tanti movimenti jihadisti che operano nel Paese con l’obiettivo di rovesciare le istituzioni e istituire un califfato islamico.
Si tratta di formazioni la cui esistenza, presenza e operatività in Siria sono state più volte provate, testimoniate e delle quali i Paesi occidentali, che si dichiarano da anni nemici del terrorismo, sono ben a conoscenza. Ciò nonostante Stati Uniti e alleati continuano a far finta di non vedere, lasciando questi gruppi radicali liberi di agire, in quanto, almeno per il momento, le loro azioni armate collimano con gli obiettivi che l’Occidente si è prefissato e per il raggiungimento dei quali arma e finanzia milizie mercenarie all’interno del Paese arabo.
Alla vigilia dell’entrata in vigore di questa tregua a regnare era lo scetticismo, tutte le parti in conflitto sapevano infatti benissimo che si stava discutendo dell’ennesima farsa messa in piedi da Onu e Lega araba per darla in pasto all’opinione pubblica internazionale, ma che ben poco avrebbe cambiato sul campo. I singoli Paesi membri delle due istituzioni agiscono di fatti in ben altro modo sul conflitto in corso, rendendo inutile e privando di significato ogni azione delle due organizzazioni internazionali.
I fronti sono definiti e gli obiettivi chiari, il resto è soltanto teatro propinato a tutti quei ben pensanti pronti a sostenere con forza ogni missione di pace voluta da Washington, ma a strapparsi le vesti di fronte alla parola “guerra”. Non è un caso che, proprio in relazione al cessate il fuoco in vigore, le grandi potenze internazionali siano tornate a parlare della necessità di inviare sul terreno una “forza internazionale di pacificazione delle Nazioni Unite”. Un esercito composto come ogni altro di mezzi blindati, aerei, elicotteri e militari armati, con l’eccezione dei caratteristici berretti blu.
Marionette da Gaza
“Viviamo il dolore del nostro popolo nei campi in Siria, dei martiri e dei feriti: questo spargimento di sangue deve cessare”, ha dichiarato ieri il premier di Hamas, Ismail Haniyeh, che inoltre chiesto al presidente siriano Bashar al Assad di allentare la “morsa sul popolo siriano fratello, che cerca la propria libertà e la propria dignità”. Non c’è che dire, proprio un bel cambio di rotta per chi aveva nella Siria fino ieri il miglior alleato. Ma, si sa, pecunia non olet, quindi 400 milioni di dollari dell’emiro del Qatar devono avere proprio un buon odore.
Il cessate il fuoco temporaneo voluto dall’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, allo scopo dichiarato di favorire successivamente soluzioni di più lunga durata per la crisi in corso ormai da 20 mesi, è durato solo poche ore, oltre le quali gli attivisti dissidenti sono tornati ad accusare di presunte violazioni della tregua le autorità di Damasco, che a loro volta hanno replicato affermando di aver soltanto risposto al fuoco. Infine, proprio come accaduto purtroppo sempre più spesso nelle ultime settimane, un nuovo attentato ha sconvolto la capitale siriana. Un’autobomba è infatti esplosa nel quartiere meridionale di Daf Shuk, provocando 5 vittime, 32 feriti e ingenti danni materiali. Episodio replicatosi poco tempo dopo nella città sunnita di Deraa e a causa del quale 11 soldati sono rimasti feriti. L’attacco non è stato per ora rivendicato, ed è quindi difficile stabilirne la matrice, potrebbe comunque rappresentare l’ennesimo macabro biglietto da visita di uno dei tanti movimenti jihadisti che operano nel Paese con l’obiettivo di rovesciare le istituzioni e istituire un califfato islamico.
Si tratta di formazioni la cui esistenza, presenza e operatività in Siria sono state più volte provate, testimoniate e delle quali i Paesi occidentali, che si dichiarano da anni nemici del terrorismo, sono ben a conoscenza. Ciò nonostante Stati Uniti e alleati continuano a far finta di non vedere, lasciando questi gruppi radicali liberi di agire, in quanto, almeno per il momento, le loro azioni armate collimano con gli obiettivi che l’Occidente si è prefissato e per il raggiungimento dei quali arma e finanzia milizie mercenarie all’interno del Paese arabo.
Alla vigilia dell’entrata in vigore di questa tregua a regnare era lo scetticismo, tutte le parti in conflitto sapevano infatti benissimo che si stava discutendo dell’ennesima farsa messa in piedi da Onu e Lega araba per darla in pasto all’opinione pubblica internazionale, ma che ben poco avrebbe cambiato sul campo. I singoli Paesi membri delle due istituzioni agiscono di fatti in ben altro modo sul conflitto in corso, rendendo inutile e privando di significato ogni azione delle due organizzazioni internazionali.
I fronti sono definiti e gli obiettivi chiari, il resto è soltanto teatro propinato a tutti quei ben pensanti pronti a sostenere con forza ogni missione di pace voluta da Washington, ma a strapparsi le vesti di fronte alla parola “guerra”. Non è un caso che, proprio in relazione al cessate il fuoco in vigore, le grandi potenze internazionali siano tornate a parlare della necessità di inviare sul terreno una “forza internazionale di pacificazione delle Nazioni Unite”. Un esercito composto come ogni altro di mezzi blindati, aerei, elicotteri e militari armati, con l’eccezione dei caratteristici berretti blu.
Marionette da Gaza
“Viviamo il dolore del nostro popolo nei campi in Siria, dei martiri e dei feriti: questo spargimento di sangue deve cessare”, ha dichiarato ieri il premier di Hamas, Ismail Haniyeh, che inoltre chiesto al presidente siriano Bashar al Assad di allentare la “morsa sul popolo siriano fratello, che cerca la propria libertà e la propria dignità”. Non c’è che dire, proprio un bel cambio di rotta per chi aveva nella Siria fino ieri il miglior alleato. Ma, si sa, pecunia non olet, quindi 400 milioni di dollari dell’emiro del Qatar devono avere proprio un buon odore.
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