Hollande, come il suo predecessore Sarkozy, non si discosta dalla linea bellicista in salsa francese inaugurata con le bombe sulla Libia.
Nella serata di martedì ha ufficialmente riconosciuto la nuova Coalizione nazionale siriana come “solo rappresentante del popolo siriano e come futuro governo provvisorio di una Siria democratica, consentendo di porre fine al regime di Bashar Assad”, aprendo inoltre alle forniture ufficiali di armi ai “ribelli” (finora effettuate solo clandestinamente). La questione del rifornimento di armamenti “dovrà ora essere necessariamente riconsiderata non solo dalla Francia ma da tutti i Paesi che hanno riconosciuto questo governo”, ha infatti detto il presidente francese. Socialisti e conservatori – e non solo francesi - uniti nelle modalità e nell’arroganza, anche se solo da Parigi e dalle petro-morachie del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Barhein e Oman) è giunto il riconoscimento dell’opposizione nata domenica a Doha quale “unico” interlocutore. La stessa Lega Araba, infatti, ha definito la nuova formazione solo come “unico rappresentante delle opposizioni”, attraversate da rivalità e spaccature. E anche Washington, che si era spesa per arrivare a questo nuovo “comando unificato” degli oppositori siriani all’estero, per ora ha indicato la coalizione come “legittima rappresentante del popolo siriano”, ma senza arrivare ancora a riconoscerla come un futuro governo provvisorio.
Ieri il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha definito “un buon inizio” la nuova coalizione aggiungendo che “quando l’opposizione siriana adotterà tali misure e dimostrerà la sua efficacia nel portare avanti la causa di una Siria unita, democratica e pluralista, allora saremo pronti a collaborare per fornire assistenza al popolo siriano”. La Clinton ha poi affermato che gli Usa stanzieranno altri 30 milioni di dollari per gli aiuti umanitari ai siriani. Una prima risposta alle richieste di questa nuova Coalizione nazionale siriana dell’opposizione, che per mezzo di un suo rappresentante, tale Ahmed Ramadan, ieri ha lamentato il fatto che finora “il Cns ha ricevuto solo 40 milioni di dollari”. Non sono nemmeno soddisfatti delle generiche aperture nei loro confronti, questi oppositori con sede all’estero. Vogliono soprattutto armi, e vista la fuga in avanti di Hollande sperano probabilmente che a breve verrà intrapresa una campagna militare come quella che ha portato alla caduta di Muhammar Gheddafi. La differenza, oggi, è però che Russia e Cina non pare abbiano intenzione, come invece fatto incautamente nel caso della Libia, di concedere nessuno spazio alla possibilità di un intervento armato internazionale contro Damasco. Resta la feroce pressione che arriva dalla Turchia, che da settimane cerca di alzare la tensione al confine con la Siria, probabilmente nella speranza che un suo attacco possa portare gli alleati Nato a intervenire anche senza alcun avallo Onu. Il ministro della Difesa di Ankara, Ismet Yilmaz, ha ribadito ieri che le forze armate turche risponderanno ad ogni violazione dello spazio aereo da parte di velivoli siriani.
L’agenzia di stampa Anadolu ha reso note le parole del ministro: “Le regole d’ingaggio stabilite dal primo ministro sono ancora valide. Una risposta adeguata sarà data ad ogni aereo o elicottero siriano che violerà il nostro spazio aereo”. Un commento alla presunta violazione dello spazio aereo turco da parte di alcuni elicotteri siriani. Damasco, accerchiata, contrattacca denunciando - per quanto possibile vista l’indifferenza dei media mainstream – la posizione della Francia come “immorale”. “Permettetemi di utilizzare questa parola - ha dichiarato ieri il vice ministro degli Esteri siriano, Faysal Meqdad, in una intervista all’Afp - è una posizione immorale, perché autorizza l’omicidio dei siriani. Sostiene gli assassini, i terroristi e incoraggia la distruzione della Siria”. La riunione di Doha, ha ancora denunciato Meqdad “è stata una dichiarazione di guerra: questa gente non vuole risolvere la questione pacificamente attraverso il meccanismo dell’Onu”. Un dato confermato dalla stessa Coalizione, che sempre attraverso Ahmed Ramadan ha criticato il riconoscimento “non esclusivo” del gruppo dissidente fatto dalla Lega Araba, affermando che “la cosa più pericolosa è che il decreto di riconoscimento (della Lega, ndr) è stato legato all’attività dell’inviato dell’Onu, Lakhdar Brahimi”.
Intanto il Giappone ospiterà il 30 novembre il quinto summit internazionale degli “Amici del popolo siriano” al quale sono attesi 150 delegati in rappresentanza di una sessantina di Paesi, con lo scopo di trovare ed esercitare nuovi strumenti di pressione sul presidente Bashar al Assad. Una riunione “allineata”. Lo stesso non si può dire del vertice che si svolgerà a Teheran la prossima settimana, al quale parteciperanno i rappresentanti dei vari gruppi etnici, dei partiti politici, delle minoranze e dell’opposizione siriana interna, oltre ad esponenti del governo siriano. Riunione che verrà boicottata dalla Coalizione e dai loro alleati internazionali. Anche in questo atteggiamento si ritrovano le tracce di quel che è già accaduto per la Libia: i tentativi dell’Unione africana di porsi come mediatore nella crisi libica vennero vergognosamente snobbati dalla comunità internazionale. Avevano già deciso. I vincitori a tavolino aspettavano solo di essere incoronati nuovi padroni della Libia. Dove si cerca il vero dialogo non c’è posto per queste opposizioni cresciute e pasciute all’estero.
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