Silenzio. È questo l’unico commento della comunità internazionale, occidentale e non, all’ennesima serie di attentati che ieri ha sconvolto la Siria. Il primo si è verificato ad Hama, dove un kamikaze a bordo di un’auto si è fatto saltare in aria nei pressi di un checkpoint dell’esercito, uccidendo almeno 50 soldati e provocando un imprecisato numero di feriti.
Secondo quanto riferito dallo stesso Rami Abdel Rahman. capo dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong vicina all’opposizione con sede a Londra, l’attacco sarebbe stato compiuto da un membro del gruppo jihadista al Nusra, già responsabile di alcuni atti simili in passato. Il secondo attentato ha invece colpito il quartiere di Mazzeh, situato nella zona occidentale di Damasco facendo 11 vittime, tra le quali alcuni bambini, e circa 30 feriti. Anche in questo caso la notizia è stata confermata da entrambe le parti in conflitto, ma è stato sempre l’Osservatorio londinese a riferire la rivendicazione di un altro gruppo estremista, il Seif al Sham. “La nostra operazione costituisce una risposta alle azioni selvagge del regime”, si legge nella nota ricevuta dall’ong britannica, nella quale il gruppo spiega inoltre di aver voluto colpire un punto di ritrovo abituale per soldati e poliziotti. Su quest’ultima rivendicazione sussistono tuttavia alcuni dubbi, la paternità dell’attentato è infatti stata reclamata anche da una delle brigate appartenenti al Libero esercito siriano, braccio armato delle opposizioni estere riunite nel Cns di Istanbul, attraverso uno dei tanti portali web dei dissidenti che diffondono informazioni sul conflitto in corso.
Quello che stupisce, seppur fino a un certo punto, è comunque il silenzio dell’Europa e degli Stati Uniti di fronte atti di terrorismo compiuti da gruppi estremisti, almeno apparentemente slegati dalle strategie delle milizie ribelli, finanziate invece proprio dall’Occidente. Un silenzio che la dice lunga sulle reali intenzioni “democratiche” di Washington e dei suoi alleati, che proprio in questi giorni hanno invitato il Cns ad aprire le porte ad altre formazioni di opposizione così da rinforzare un fronte che si sta dimostrando sempre più debole e frammentato.
“Quei Paesi che hanno influenza sulle milizie dovrebbero incoraggiarli a sedersi al tavolo dei negoziati. Alcuni invece preferiscono riunire i gruppi ribelli non con l’obiettivo di una trattativa, ma della prosecuzione dei combattimenti”, ha affermato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, commentando proprio la recente decisione del fronte delle opposizioni estere di accogliere la richiesta di adesione di altri 13 gruppi, ma di rifiutare al tempo stesso ogni tipo di trattativa con il governo di Damasco. Quella in atto in Siria è ormai molto più di una guerra civile, i fronti del conflitto sono ben più ampi di quelli che si è soliti considerare ed è grave vedere come molti Paesi europei si siano schierati al fianco di estremisti e terroristi, andando anche contro i propri interessi, pur di soddisfare le richieste della Casa Bianca.
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