Ieri la portaerei americana USS Eisenhower, con a bordo 8 mila militari ed 8
squadroni di cacciabombardieri è giunta dinanzi alle coste siriane.
Russia
Oggi, nel riportare la notizia, dichiara probabile che si tratti del preludio di
una azione militare ai danni del governo siriano.
Anche secondo il Times,
ormai, l’amministrazione Obama intende lanciare l’attacco contro il governo di
Damasco. Con la scusa di impedire alla Siria l’uso di armi chimiche contro le
bande di terroristi (addestrati e pagati dall’Occidente e dai regimi infeudati
arabi).
Secondo il sito israeliano Debka, la portaerei ha raggiunto lo USS
Iwo Jima Amphibious Ready Group, che include 2500 marines. Per l’agenzia, per un
attacco alla Siria gli Stati Uniti possono dunque già contare su 10 mila uomini,
17 navi da guerra, 70 cacciabombardieri, 10 incrociatori muniti di missili
cruise e di sistemi antimissili Aegis.
Il quotidiano israeliano Maariv,
informa, dal suo canto, che un “piano congiunto Usa-Gran Bretagna è già pronto”
e che all’offensiva prenderanno parte anche truppe “alleate” (sic) di Giordania,
Turchia e Israele, con il compito di occupare i depositi di armi e di sostenere
una zona di interdizione al volo (la tristemente famosa no fly zone) sulla Siria
per impedire i raid aerei di Damasco.
Come “ruota di scorta”, naturalmente,
anche la Francia di Hollande che, come scrive il settimanale Le Point, “da tempo
prepara segretamente” l’aggressione militare alla Siria.
Il quotidiano del
popolo cinese – la Cina, come la Russia, ha più volte posto il veto all’Onu su
qualsiasi soluzione non diplomatica del conflitto interno alla Siria –
sottolinea da parte sua come “il dispiegamento di missili Patriot in Turchia”
sembri parte di un piano di aggressione che “non contribuisce certo alla ricerca
della pace nella regione” del Vicino Oriente.
Riassumiamo.
E’ stata
immediatamente evidente, sin dall’inizio della destabilizzazione,
l’“infiltrazione esterna” di terroristi anti-governo in Siria (si noti, come
abbiamo più volte rappresentato su queste pagine, sia l’interesse geo-economico
occidentale allo sfruttamento del più vasto giacimento di gas del Mediterraneo,
tra Cipro, Siria, Libano e Palestina, e sia come il neo “presidente” del Cns, la
cosiddetta “Coalizione nazionale siriana”, l’opposizione al governo di Damasco
rastrellata dall’Occidente e dai suoi alleati locali, Moaz al-Khatib sia al
contempo uno sceicco vicino ai “Fratelli Musulmani” nonché uomo d’affari e
consulente della multinazionale dell’energia Shell).
Come è stata palese, da
parte atlantica, la progressiva costruzione di un isolamento della Siria con il
ritiro di tutte le delegazioni diplomatiche da Damasco, il riconoscimento di
“rappresentanti” fantoccio dei “ribelli” (anche se tra questi prosperano bande
salafite, integraliste sunnite, già presenti in Libia e comunque provenienti da
altri Paesi arabi), le pressioni su Russia e Cina per “autorizzare” un nuovo
devastante conflitto contro uno Stato membro dell’Onu, il continuo immaginifico
riferirsi - come nel caso dell’Iraq invaso e occupato dagli angloamericani –
all’esistenza di armi di distruzione di massa. Nel caso siriano, appunto, quelle
armi chimiche che lo stesso presidente Bashar Assad ha escluso verranno mai
impiegate in repressioni interne.
In breve: la costituzione del “pretesto”
utile per permettere agli atlantici di sventolarlo e propagandarlo a onde di
media embedded per giustificare una guerra di aggressione e di conquista in
partecipazione con infidi e feudali “alleati” della regione.
Si ha la
sensazione che a elezioni Usa consumate tutto sia stato predisposto a questo
fine e che tale vergognosa aggressione sia stata oramai decisa. O quantomeno
“messa in conto”.
Fatto sta che una tale aggressione alla Siria non è, né
potrà, essere priva di catastrofiche conseguenze.
Negli equilibri
internazionali, perché la conferma del “no” russo a tale invasione è stata
reiterata. La Russia, tra l’altro, è da tempo operativa, in forza di una
risoluzione Onu negoziata quest’estate a Ginevra, per inviare eventualmente in
Siria una “forza di interposizione neutrale” composta da truppe del patto
militare eurasiatico. E Mosca non può nemmeno prescindere dall’osservanza del
patto di mutua difesa contratto con Damasco, patto che consente alla flotta
russa la concessione dell’unica base navale della Federazione nel Mediterraneo:
nel porto siriano di Tartous. Senza trascurare il “veto” cinese: si ricordi che
la Cina è parte del gruppo di Shangai e che di questo patto è parte integrante,
nel ruolo di “osservatore” anche la Repubblica islamica dell’Iran, il maggiore
alleato della Siria nel Vicino Oriente.
Una deflagrazione nel Levante del
Mediterraneo, si badi bene, coinvolgerebbe anche l’Italia, la
“portaerei-colonia” degli Usa con le sue 113 basi militari disseminate nel suo
territorio nazionale.
Dovremmo forse morire così, come servi sciocchi degli
atlantici, magari lasciando la nostra terra patria deserta e impraticabile per
migliaia e migliaia di anni?
Già. C’è anche il rischio nucleare. Gli Usa, la
Gran Bretagna, la Francia, la Cina, la Russia e Israele… sono potenze nucleari
belliche reali (e non soltanto “potenziali” come l’Iran).
Chissà se Giulio
Terzi di Sant’Agata, atlantico di scorta, ne ha coscienza.
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