I terroristi dello Stato Islamico saranno annientati con raid aerei
in Iraq e Siria. Saranno gli Stati Uniti a guidare un’ampia coalizione
internazionale incaricata di colpire il pericoloso gruppo jihadista
diventato il principale obiettivo della Casa Bianca. Un’azione militare
che non vedrà la partecipazione dell’Italia, almeno per ora. ”L’America –
ha osservato il ministro della difesa Roberta Pinotti – ha deciso di
fare raid aerei in Iraq, noi non abbiamo fatto questa scelta. Abbiamo
invece deciso di inviare armi ai Curdi. L’Italia farà riferimento alla
propria Costituzione e a modalità operative che portino a una soluzione
del problema”.
E’ stato il presidente Barack Obama a spiegare la strategia contro lo
Stato islamico. Quattro i punti: Raid aerei “come quelli fatti per anni
in Yemen e in Somalia”, la formazione dei militari dei Paesi minacciati
dai terroristi, il lavoro di intelligence e infine gli aiuti umanitari.
I raid, in particolare, avranno l’obiettivo di sostenere l’azione delle
truppe che combattono contro gli jihadisti sul campo: iracheni, curdi e
i gruppi di ribelli siriani considerati più moderati che riceveranno
aiuti militari. Poche ore prima del suo discorso, Obama aveva
autorizzato 25 milioni di dollari in aiuti militari al nuovo governo
iracheno e al governo regionale dei curdi in Iraq.
Soprattutto il sostegno ai gruppi moderati siriani rischia di creare
non pochi problemi al presidente degli Stati Uniti. La Russia
difficilmente può accettare che la guerra al terrorismo si trasformi in
un pretesto per alimentare ulteriormente il conflitto siriano, per di
più fornendo armi a gruppi che soltanto Obama considera “moderati”.
C’è poi un problema di sovranità nazionale: gli aerei americani
potranno sorvolare i cieli siriani senza l’autorizzazione e il supporto
delle autorità di quel paese e dei suoi alleati? Dalle parole di Obama
sembra proprio di si. Non è dello stesso avviso il governo di Damasco,
molto preoccupato per la piega che l’azione militare potrebbe prendere
in futuro. A quel punto, anche Russia e Iran potranno decidere, questa
volta con l’accordo di Assad, di mettere i piedi in Siria per combattere
la vasta galassia del terrorismo di matrice jihadista e salafita: non
solo l’ISIS ma anche quei gruppi armati (al Nusra e molte brigate del
Fronte Islamico) che opprimono la popolazione e perseguitano le
minoranze religiose nel paese. Insomma, la presa di posizione di Obama
sarebbe un formidabile assist per Putin e gli alleati di Assad.
Non rassicura la Siria neppure il ruolo di Israele, che sta fornendo
agli USA mappe su possibili obiettivi strategici che i raid aerei
dovranno colpire, I droni di Tel Aviv volteggiano sui cieli siriani da
tempo: si tratta di una colossale operazione di spionaggio militare che
oltre i gruppi jihadisti punta a colpire il governo di Damasco.
Il presidente americano non ha perso occasione per lanciare un
messaggio ad Assad, che pure si era reso disponibile a partecipare a una
missione internazionale contro lo Stato Islamico, dicendo che non
chiederà il suo sostegno: “Non ci possiamo fidare del regime, un regime
che terrorizza il suo popolo”.
Parole che certamente non aiutano un’azione militare che vede
coinvolti anche paesi – come l’Arabia Saudita, il Qatar e il Kuwait –
che hanno molte responsabilità nell’affermazione del terrorismo in Siria
e Iraq. Il governo di Damasco, che più di tutti ha pagato il prezzo del
terrorismo e del fondamentalismo islamico, per lungo tempo lasciato
solo a combattere contro i gruppi jihadisti nel paese, può contare sul
pieno sostegno di Russia e Iran.
Gli osservatori sono sicuri che Mosca e Teheran non consentiranno
agli Stati Uniti di aggravare la situazione di un paese martoriato da
una guerra che ha causato centinaia di migliaia di morti e feriti nonché
milioni di profughi. E infatti subito dopo l’annuncio di Obama, è
arrivata la presa di posizione del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, che
ha chiesto all’Occidente di non utilizzare l’ISIS come pretesto per
attaccare le forze del governo siriano. Mosca ha inoltre sollecitato gli
Stati Uniti e i suoi alleati “a rispettare il diritto internazionale e a
intraprendere un’azione militare solo con l’approvazione del legittimo
governo siriano”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Iran che ha osservato,
attraverso il ministro degli Esteri, come alcuni paesi della coalizione
internazionale chiamata a combattere l’ISIS siano gli stessi che lo
sostengono. La Siria, subito dopo, ha tuonato contro l’Occidente e gli
Stati Uniti. Il
ministro siriano della Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, ha
avvertito che “ogni azione, di qualsiasi tipo, senza il consenso del
governo siriano, sarebbe un attacco alla Siria.”
Non saranno coinvolte truppe americane sul suolo straniero anche se
gli Stati Uniti invieranno a Baghdad altri 475 soldati che, insieme ai
consiglieri militari già inviati nelle scorse settimane, faranno salire
la presenza armata degli Usa in Iraq a circa 1.600 unità. Il loro
compito non è quello di partecipare a missioni di combattimento, ha
ribadito il Pentagono, ma quello di difendere il personale Usa e di
supportare, non sul campo, le forze irachene.
Una cosa è certa: l’azione militare contro lo Stato Islamico non sarà
una passeggiata. Come lo stesso presidente ha ammesso nelle scorse
settimane ci vorrà tempo, forse anni, per distruggere completamente i
terroristi. Una posizione condivisa da molti analisti, che hanno
indicato il termine di dieci anni il tempo necessario per annientare una
volta per tutte lo Stato Islamico.
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