E soprattutto, si chiede il Times, “dov’è la prova che sia stato il presidente Bashar al Assad a condurre l’attacco?” Anche se gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e la Turchia hanno detto di non dubitare sul fatto che la colpa sia del regime di Damasco, non ci sono ancora documenti che lo dimostrino. “Visto l’errore clamoroso con l’Iraq – quando l’amministrazione di Bush è entrata in guerra per armi nucleari inesistenti – l’accuratezza delle prove deve essere più che mai alta”. Inoltre, continua il quotidiano, Obama farebbe meglio a spiegare come pensa che un attacco possa aiutare a risolvere il conflitto esploso nella regione. L’azione militare dovrebbe dunque essere parte di una più ampia e solida strategia che possa ricondurre il conflitto armato sul più razionale piano della diplomazia. Ma anche su questo Obama non ha dato spiegazioni.
Oltre alla scarsa chiarezza dei presupposti, il New York Times condanna i metodi: l’ipotesi di un attaco statunitense senza l’Onu, l’ente teoricamente legittimato a prendere in mano la vicenda. Il consiglio di Sicurezza è infatti “la prima sede in cui si dovrebbe trattare l’uso di armi chimiche, essendo questo un crimine di guerra vietato dagli accordi internazionali”. In un mondo ideale, se le prove che stanno raccogliendo gli ispettori dell’Onu dimostrassero che è stato il governo di Damasco ad usare gas nervino contro i civili, allora il Consiglio lo condannerebbe. Assad sarebbe spedito alla Corte Internazionale Criminale e verrebbe bloccato il trasporto di armi e materiale bellico in Siria.
Come se non bastasse, spiega il New York Times, agli Stati Uniti manca anche il pieno sostegno di Nato e Lega Araba, due organizzazioni chiave. Senza un solido supporto internazionale, si lege nell’editoriale, “un attacco militare condotto da Stati Uniti, Francia e Inghilterra (due ex potenze coloniali) sarebbe una propaganda per Assad”.
Inoltre, il New York Times definisce “la presentazione dell’intelligence più importante dal febbraio del 2003″, ma poi sostiene che somiglierà alla lettura di “un comunicato stampa”. L’annuncio che potrebbe arrivare oggi da Washington – su prove evidenti che dimostrerebbero la responsabilità del governo di Damasco per la strage della scorsa settimana compiuta per mezzo di armi chimiche – si preannuncia molto diverso da quello pronunciato dieci anni fa dall’allora segretario di Stato Colin Powell, quando comunicò l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq. Powell, ricorda il Times, aveva reso pubblici alcuni documenti per dimostrare che Baghdad fosse in possesso di armi nucleari, cosa che giustificava l’attacco americano e che tuttavia in seguito è stata clamorosamente smentita.
Invece di un annuncio dettagliato e solenne come quello del braccio destro dell’ex presidente George W. Bush, che aveva mostrato fotografie satellitari e diffuso il contenuto di comunicazioni tra funzionari di Baghdad, l’amministrazione del presidente Barack Obama – riporta ancora il New York Times – si prepara a un discorso “contenuto”, simile a quello già pronunciato a giugno dalla Casa Bianca sull’uso di armi chimiche in Siria “in piccola scala contro l’opposizione diverse volte nello scorso anno”.
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